COMMENTO & OPINIONE

Baby gang: un’etichetta che fa più rumore che chiarezza

10 Aprile 2025



di Roberto Cornelli, Professore di Criminologia nell'Università di Milano

Il webinar “Giovani, disagio e criminalità. Quali politiche degli Enti Locali”, che ora è possibile rivedere in streaming sul sito di Avviso Pubblico, è stato l’occasione per affrontare un tema di grande attualità e ampiamente discusso a livello politico-mediatico, quello delle baby gang, provando a fornire chiavi di lettura più attente a ciò che accade nei diversi territori e spunti per elaborare politiche innovative.

Negli ultimi anni, in effetti, si è assistito a un rinnovato interesse per la questione giovanile, che è ritornata al centro del dibattito pubblico, in particolare, per due motivi.

Da una parte, durante la sindemia da Covid-19, le giovani generazioni sono state additate come irresponsabili per sé e per gli altri nella diffusione di focolai del virus nelle città e, nella fase di ritorno alla normalità, la narrazione degli adolescenti come soggetti vulnerabili, che più di altri hanno subito gli effetti della deprivazione della socialità in una fase particolarmente delicata della loro crescita, ha lasciato subito il posto a una rappresentazione dei giovani nel solco dell’antisocialità.

Dall’altra parte, l’intersezione, anzitutto demografica, tra questione giovanile e questione migratoria si è fatta più evidente nelle città italiane, al punto che il tema della cittadinanza dei giovani con background migratorio nati o cresciuti in Italia è diventato un tema politico di rilevanza nazionale. Questa intersezione, tuttavia, ha riacceso narrazioni di paura che persistono da oltre trent’anni,, in cui la non italianità viene associata immediatamente alla pericolosità.  

Gli episodi di criminalità (alcuni gravi, altri meno) sono stati assurti a cifra caratteristica di una “nuova” adolescenza sempre più pericolosa, senza più freni e capace di violenza efferata perché incapace di provare empatia.

Ma è davvero così?

I dati ufficiali al momento disponibili non supportano questa rappresentazione allarmistica, a patto che vengono letti in modo preciso e competente. Al contrario, può capitare, com’è successo qualche settimana fa, che l’Italia intera si convincesse erroneamente del fatto che, nel passaggio dal 2023 al 2024, siano triplicati gli omicidi commessi da minorenni (v. qui). 

Va anche detto che i dati ufficiali non bastano, perché risentono fortemente di quanto le istituzioni del controllo si occupano di certi fenomeni criminali, quanto i cittadini denunciano, e dunque quanto i problemi emergono nelle statistiche ufficiali. Per questo servirebbe più ricerca criminologica su questi temi, senza affidare la propria conoscenza a percezioni, sensazioni o semplici opinioni. Servirebbe anche una condivisione più immediata dei database e dei dati ufficiali perché possano essere analizzati, interpretati e discussi pubblicamente: è essenziale per evitare che s’incorra in cortocircuiti che rischiano di creare allarmi ingiustificati.  

Fatto sta che, sulla base di una rappresentazione allarmistica della questione giovanile, sono stati adottati provvedimenti legislativi, come le modifiche alla custodia cautelare per i minorenni contenute nel decreto Caivano, che hanno stravolto il sistema penale minorile italiano portando a più ingressi negli istituti penali per minorenni e a inediti fenomeni di sovraffollamento. Sempre sulla base di questa rappresentazione allarmistica della questione giovanile, in alcune città si sta chiedendo l’istituzione delle cd “zone rosse”, a cui bisognerebbe dedicare un approfondimento specifico.

Di fronte a questa crescente tensione sociale e all’adozione di misure sicuritarie ed emergenziali, diventa urgente avviare una riflessione lucida e documentata. Occorre andare alla radice di quei processi politici e culturali che arrivano a identificare i giovani, soprattutto quelli con background migratorio, come un problema di ordine pubblico. Occorre riflettere su cosa sappiamo dei giovani, del loro modo di vivere e di socializzare, come stiamo affrontando le loro aspettative e i loro desideri; su come sia possibile evitare che nelle comunità si creino divisioni e spaccature generazionali o di altro tipo, che alimentano paure e rendono impossibile ogni politica diversa dalla semplice repressione; come le istituzioni possano mettersi in relazione ai giovani con curiosità e attenzione, abbandonando la tendenza a fare di tutta l’erba un fascio e immaginando politiche che rimettano in circolo responsabilità e fiducia.

Nel webinar si sono poste le basi per comprendere in profondità al fine di agire consapevolmente, fornendo alcuni esempi concreti di politiche e interventi. La posta in gioco è alta e riguarda le aspettative di un presente e di un futuro dignitosi per tanti giovani.